lunedì 12 aprile 2021

La lettera nella bottiglia

Anni fa,durante i giorni in cui più vigorosa ardeva la mia passione per te,mentre contemplavo silenziosamente il mare e le onde si frangevano stanche sulla battigia,come se il mare,volendo cullare i miei pensieri,facesse risuonare la sabbia tra la schiuma,distolsi a un tratto lo sguardo dall'orizzonte marino piatto e azzurro come un cielo capovolto e rosso alle sue estremità per via del tramonto,e scorsi,mezza sepolta nella sabbia fine una bottiglia di vetro perfettamente rotonda,che doveva certamente avere bisogno di quel fondo di vimini per potere stare diritta: un fiasco,insomma,e l'idea che mi guizzo' subito fu quella di scriverti una lunga lettera che tu non avresti mai potuto leggere,a meno che le probabilità che potesse capitarti fra le mani non fossero superiori a quelle di centrare una cinquina secca.

Proprio come quella forte passione era arrivata,dall'infinito,ora ad esso la riconsegnavo per un' ultimo,accorato addio,affinché finisse tra le maglie di una rete da pesca,e tratta fuori dalle onde servisse a dare una forte emozione a qualche famigliola di pescatori che sotto un pagliericcio collegato ad una bianca casetta a pochi metri dal mare,in una magica serata d'estate,davanti alle pietanze di casa,leggesse quelle righe al lume di candela,o una volta per sempre si infrangesse contro uno scoglio,come tutto ciò che di mio ti ha raggiunto;
Com'è e come fu che quel giorno,incrociando il tuo sguardo io vi avessi trovato un che di non comune fra le altre donne,non saprei dirlo: forse per per il tuo saper essere te stessa,e perciò nettamente distinta dall'universo femminile come modello a sé,mai alla ricerca di conformazioni a mode e modi,(i tuoi perfettamente unici) complice fu forse quella sera un' attimo fatale,un'istante in cui si combinarono ricordi e la fine di un afoso pomeriggio di Agosto,con le note sparse di una canzone di Venditti...e come se di colpo questi fattori,sempre per una questione di oscure probabilità,avessero formato la fatale combinazione che fece scattare la serratura del cuore:Accadde di colpo che cose cui non avevo mai dato alcun valore prendessero un significato enorme,un valore senza carati ne titolo di borsa( perlomeno cosi era per me;Una rosa che si fosse trovata impigliata nella catena di un leone,e verso cui tu avessi espresso il desiderio frivolo di averla per spogliarla dei suoi petali per il capriccio di sentire sempre più forte il profumo dei petali strappati,io avrei tentato di farti avere,come forse ho fatto,offrendomi alle zanne fameliche.
Questo è quanto,e come sembrava il mare era calmo,ed io devo affaticarmi per le esigenze della vita...la bottiglia riflesse per qualche minuto la lunga scia luminosa che collegava la luna alla spiaggia: anzi la tagliò a metà,come per consolarmi dimostrando interesse per la mia storia.
La candela languiva ormai nell'ultimo centimetro di cera: solo il fuoco,scoppiettando nel focolare,proiettava una vivida luce nei mattoni delle pareti...antichi i pavimenti di creta,come le tegole scostate dagli anni e inframmezzate di muschio;il piano più alto del vecchio casolare dominava la sommità della collina,ricoperta di lecci e ulivi secolari...il tempo era fermo nelle pagine ingiallite dei libri che mi avevano visto fermo rifletterci a lungo nelle primavere passate:cosa stavi facendo? avrei voluto parlarti,ma in un linguaggio comune solo a noi,farlo mentre il rapace che fa il nido in soffitta,vola via al mio arrivo,e sale in cerchi sempre più in alto:mentre ritrovo ovunque parti del mio passato,quando ti incontravo più spesso,e tu non sapevi,e parlavamo a lungo vicini ma distanti nelle intenzioni e nelle speranze.....
Ora,guardando dietro,mi sento stranamente felice:e questa felicità non so spiegarla ne ad altri ne a me stesso:quanto piccolo sia stato quell'orizzonte a cui mi volgevo,posso darne ora l'esatta dimensione:mi dimenavo in un bicchier d'acqua,ero prigioniero di mentalità e vedute microscopiche ed insignificanti,di bufere emotive causate da quell'incontro che bramavo e insieme temevo,ma che ora mi lascia con mio grande stupore indifferente,e cosi brevi e semplici nella loro architettura emotiva sono i momenti di tristezza che a volte li avvisto da lontano e c'è come qualcosa che me ne tiene distante.





lunedì 24 giugno 2019

Crasto!

L 'odore della carta delle pagine dei libri mi ha sempre stimolato l' appetito alla lettura,
e tutto quanto mi circondava diventava parte di quel mondo in cui mi andavo immergendo fin dalle primissime righe,già da allora, quando l' ombra dei lecci e delle querce offriva ristoro dal sole bollente di quelle estati d' infanzia, che rifiutava ostinatamente  le letture 
imposte a scuola, ma godeva immensamente in quelle che si sceglieva,incollando come le figurine in un libro tutte persone che più  mi avessero colpito per una più  o meno esatta similitudine con qualche personaggio di un libro che avessi letto.

Lo pseudonimo"Siglazero "nasce nel 2014, in una notte di Febbraio mentre due grossi ceppi di quercia bruciano scoppiettando nel rozzo focolare del casolare del Crasto...Quello che custodiva fra le sue pareti annerite il chiodo a cui il nonno appendeva la doppietta e la sdraio sulla quale si appisolava dopo avermi raccontato qualche storia del tempo della guerra...Siglazero è la firma di un'anonimo che vuole rimanere tale perché poi i sentimenti che nutre e le situazioni che vive sono così comuni a tutti gli uomini che non avrebbe senso indicarne uno in particolare, uno che davanti a un focolare, avvolto in una coperta di lana guarda dalla finestra una luce lontana, seconda ad una fila di lampioni dalla fredda luce malinconica...
                      Il vicino.


Quando ai primi d’Agosto Compare Rocco apriva con la zappa il grosso solco che
convogliava l’acqua della fiumara fino ad alcuni chilometri da sotto la cascata,era venuto il
tempo della semina dei fagioli…il fiumiciattolo,che avrebbe inzuppato il campo reso soffice
dalle zappe della vangatrice, si infiltrava in cento rigagnoli che morivano ora qua ora la,
rendendo a chiazze la terra marrone che il contadino percorreva - scalzo, con la zappa in
spalla - sprofondando fino al ginocchio, per guidare i bracci d’acqua verso le più lontane
estremità del campo.
L’operazione richiedeva una buona mezza giornata,dopodichè, prima di passare oltre,
occorreva lasciar asciugare il terreno per interi due giorni, ovvero il tempo che un leggero
vapore esalasse dalla terra lavorata con la zappa….”mai seminare fagioli e panicolo (Mais)
in terra asciutta e abbeverare dopo…” fatiga perduta, ne hanno bene formiche ed uccelli ”
dopo le canoniche 48 ore, Rocco partiva con i solchi, terminati i quali, e distanziati tanto da
passarci in mezzo col suo “insetto “ a miscela da 2 cavalli, cui aveva accorciato i bracci della
fresa in modo da non urtare le future piantine, partiva con la semina, distanziando i semi uno
dall’altro di qualche palmo…”hanno l’aria di lato,diceva passandosi il dorso della mano
destra sulla fronte” . Lo spazio tra i solchi serviva a contrastare efficacemente le infestanti le
quali, dopo tre passate di fresa con gas a fondo scala, rinunciavano a contendere spazio ed
acqua alle piantine neonate. Mentre Compare Rocco seminava, passando con un piede in
un solco ed uno nell’altro, tenendo stretto il pugno di semi nella mano destra, e schiacciando un seme alla volta sotto il pollice quasi a farne di conto, chiudendo l’occhio sinistro prima
dello schiocco che avrebbe lanciato il fagiolo nel solco, faceva: “e sui semi un dito di terra,
che se ne metti su troppa lo” affuchi”(soffochi)....una decina di giorni dopo, partiva per le
“coste” (forre sottostanti le ultime estremità del pianoro della montagna) con l’accetta in
spalla, in cerca di fusti di erica, i più dritti, grossi abbastanza da essere conficcati nel terreno
con la testa dell’accetta…”toc, toc, toc…” i colpi echeggiavano in tutta la vallata in fondo alla
quale gorgogliava la fiumara: la barbetta verde dell’erica, le sue foglie minuscole - e i fiori
bianchissimi che lasciavano ad ogni urto una nube di polline profumato - avvolgevano
compare Rocco che di tanto in tanto, dopo rumorosi soffi di naso, dava starnuti così forti
che qualche capraio sfottente gli faceva eco tra le querce della montagna.
La “Ligunìa” è una specie di rampicante dal fusto grosso quanto una buona fune e flessibile
quanto questa, usato per legare fascine e mazzi di legna ...compare Rocco ne tagliava
qualche metro che passava sotto il mazzo dei paletti appena tagliati, poi, fatto un grosso
nodo che stringeva passandovi di traverso il manico dell’accetta, e fatti alcuni giri, stringendo
il mazzo se lo portava in spalla, fino alla quercia sotto cui brucava, un’orecchio dritto e uno
piegato fin sul collo, il vecchio asino di compare ‘Ntoni che gli aveva prestato la bestia,
obbligazione in cambio di cui compare Rocco gli avrebbe ceduto cinque giorni di “Mastra”,
ovvero di usufrutto del canale che gli attraversava il campo cui abbiamo sopra accennato.
I paletti servivano a sostenere le varietà rampicanti di fagioli “Lingua di fuoco” ed erano uno
spettacolo quando vegetavano di foglie e germogli verdissimi, fin quando i baccelli non
pendevano a grappoli da quasi due metri di altezza, circa quaranta giorni dopo la semina.         
 
                      Il piccolo chimico 

..
La soffitta della vecchia casa del Crasto, nella sua penombra silenziosa che avevo osservato quando salii la scala di legno che cigolava ad ogni gradino insieme a papà, si era rivelata così interessante per tutti i libri ingialliti dall'umidità che erano disposti in bell'ordine dentro una decina di vecchie casse di legno....un pomeriggio di luglio, vincendo la paura della semi- oscurità e della scala malferma, aggrappandomi al corrimano annerito dalla fuliggine, mi avventurai esitante....nonostante avessi spinto la porta con estrema cautela, questa, con un lungo cigolìo mi sfuggì di mano, e andò a sbattere violentemente contro la parete, cadendo sul fragile soffitto di canne e calce, facendolo vibrare paurosamente...un nugolo di pipistrelli prese a svolazzare per la stanza, mentre io, piegata la maglietta sulla faccia e scoprendo metà pancia, mi appoggiai alla parete e mi lasciai scivolare appoggiato a questa sino a finire seduto sul pavimento....qualche minuto dopo, avevano tutti lasciato la soffitta in un disordinato turbinio che li sparse ovunque, nell'aria pervasa dalla luce del sole , che tanto vistosamente li infastidiva. Una copertina ammuffita attirò subito la mia attenzione...lo strofinìo del mio indice aveva riportato alla luce il giallo della copertina, e l'illustrazione di un grosso cane lupo che addentava un galeotto...il titolo,Zanna Bianca, editrice Bietti, autore Jack London....e poi, Tifone, il negro del narcissus, Moby Dick, il richiamo della foresta, ecc ecc, nonché un'antico libro di scienze naturali, su cui lessi di un signore inglese che, rimescolando il fondo di uno stagno, vi scoprì il metano...avevo appena voltato pagina, quando la mia mente, in un flash improvviso, mi suggerì una parola...INFIAMMABILE....altrettanto velocemente corsi col pensiero al nostro pantano, che limitava con la strada, percorsa ad orari regolari da....non vi dirò da chi. Scesi a rompicollo la scala rompendo con un salto l'ultimo gradino, corsi in cucina, presi un'accendino,uscii di casa spalancando il vecchio portone e imboccai il sentiero che portava al pantano..vi giunsi trafelato...piegai una canna, ne torsi il fusto fino a spezzarla quasi di netto, poi la infilai nell'acqua, rimescolando la melma nerastra...una grossa bolla emerse dall'acqua....il tramonto anneriva i contorni della montagna e delle chiome degli alberi...ripetei l'operazione, avvicinando al pelo dell'acqua l'accendino, sicronizzai velocemente il movimento del pollice della mano sinistra con il gesto della destra, ebbi cura di cambiare la zona del primo esperimento per ottenere una bolla di gas altrettanto grossa e...BLOB, VUM....all'emersione del gas fece seguito una vampata che illuminò i giunchi tutto intorno...funziona, pensai, ridendo in anticipo dello scherzo che avevo ideato...mi voltai verso la strada, era tempo...un' ombra bassa e claudicante si affrettava tra i cespugli di mirtillo...mi rivoltai verso lo stagno, e mi misi a fare segni nell'aria con la canna, blaterando monosillabi a voce abbastanza alta da attirare l'attenzione dell'ombra solitaria...quando ne intravidi la sagoma fermarsi sul ciglio della strada, esclamai ad alta voce, sapendo la vittima piuttosto dura d'orecchi la formula seguente ABRACADABRA, ABRACADOCO, ORA QUEST'ACQUA SPUTERA FUOCO...VUM....SANTA BARBARA E SAN NICOLA AIUTO.... fu lo strillo che squarciò il silenzio di quella serata di luglio del 1992....